Venerdì 2 maggio 2025, alle ore 18.00, presso la sede della Lega Navale di Trieste – Molo Fratelli Bandiera, 9 – palazzina servizi, il Vescovo mons. Enrico Trevisi, presiederà la Santa Messa per il Giubileo del mondo del lavoro. Sarà l’occasione anche per ricordare tutti i caduti, sul lavoro. La Celebrazione sarà animata dal Coro dell’Associazione Nazionale Carabinieri, Sezione di Trieste.

Problemi Sociali e Lavoro
Il lavoro, un’alleanza sociale generatrice di speranza
In previsione del 1° maggio, i Vescovi italiani hanno predisposto il tradizionale Messaggio per il Mondo
del Lavoro. Messaggio che, ovviamente, acquista una particolare valenza in corrispondenza al Giubileo
della Speranza, come richiamato fin dal titolo scelto.
Il tema dei rapporti tra le persone, nei pur diversi ruoli di dipendente, dirigente ed imprenditore, ed il
valore sociale di questi rapporti, è centrale in tutti i documenti Sociali della Chiesa, dalla Rerum
Novarum alla Laudato Sì: la collaborazione fra le parti sociali è infatti il principio fondante della DSC,
declinato con il rispetto della dignità e della sicurezza dei lavoratori e con il riconoscimento del ruolo
propositivo e innovativo delle imprese.
In questa ottica, il documento evidenzia alcuni aspetti che rappresentano concretamente gli eJetti di
queste forme di collaborazione, come “il riconoscimento nei contratti di lavoro nazionali
dell’importanza della formazione permanente e della riqualificazione”, e ancora il diJondersi di “forme
di welfare e assicurazione attenti alle emergenze sanitarie e familiari” e di “meccanismi di
partecipazione” alla gestione d’impresa.
Per ricordare le radici del pensiero della Chiesa, il messaggio dei Vescovi richiama le parole di Giovanni
Paolo II: “il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione
sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo” (Laborem exercens,
3). Prosegue poi evidenziando le maggiori criticità oggi presenti nel mondo del lavoro: l’impoverimento
delle relazioni a causa dello smart working, la crisi demografica, lo sfruttamento degli immigrati, la
distanza tra le competenze richieste e quelle oJerte dai giovani che cercano lavoro, la delocalizzazione
delle imprese alla ricerca di condizioni di costo e fiscali più favorevoli, che “alimenta una spirale al
ribasso su costo e dignità del lavoro”. Il Messaggio richiama poi l’urgenza di fermare il fenomeno degli
infortuni e delle morti sul lavoro, vera piaga del nostro settore produttivo, unica via per realizzare una
“piena giustizia”. Ulteriore aspetto negativo è rappresentato dalla migrazione di troppi giovani, anche ad
elevata scolarità, che dopo essersi formati vanno in altri paesi alla ricerca di migliori condizioni di lavoro
e di vita. Non mancano, poi, i riferimenti ad alcune “luci” che comunque emergono dal mondo del
lavoro, che è necessario valorizzare ed estendere per alleviare e risolvere le criticità.
Viene anche evidenziato il ruolo attivo e propositivo della Chiesa, “non solo assicurando vicinanza e
conforto” ai lavoratori delle molte situazioni di crisi industriale, ma contribuendo a creare “un’alleanza
sociale per la speranza che sia inclusiva e non ideologica” (Spes non confundit, 9). Ne sono state
concreta testimonianza le piazze delle “buone pratiche” e gli approfondimenti tematici partiti dalla
Settimana Sociale di Trieste.
Esempi di questa alleanza sociale, e del valore della stessa, sono stati dimostrati nel nostro territorio
dalle manifestazioni a difesa delle crisi industriali di Wartsila, Flex, Tirso e U-Blox: crisi che hanno messo
in discussione migliaia di posti di lavoro e la cui mancata soluzione avrebbe rappresentato un colpo
letale all’economia locale. La compattezza di lavoratori, rappresentanze sindacali e degli imprenditori,
istituzioni e forze politiche hanno consentito di partecipare ai tavoli di discussione con fermezza e
credibilità: una delle situazioni ha trovato una via di soluzione, per altre è concreta la fiducia di sbocco
positivo, va alimentata la speranza che sia trovata soluzione anche per lo stabilimento ex Flex. In questi
casi, la Diocesi di Trieste, attraverso il Vescovo Enrico e la Commissione Diocesana per i Problemi
Sociali ed il Lavoro, non ha mancato di testimoniare concretamente supporto e presenza.
Il Messaggio conclude richiamando tutti gli attori, sociali economici e politici, alle proprie
responsabilità, poiché “la «mano invisibile» del mercato non è su>iciente a risolvere i gravi problemi oggi
sul tappeto”, ma è l’azione umana (la “mano visibile”) che deve contribuire a creare una “società equa
e solidale e continuare a seminare speranza”.
Commissione Diocesana
Problemi Sociali e Lavoro

Messaggio dei Vescovi per la Festa dei Lavoratori
1° maggio 2025
Il lavoro, un’alleanza sociale generatrice di speranza
La Festa dei Lavoratori, in questo Anno giubilare, vuole offrire orizzonti di speranza agli uomini e alle donne del nostro tempo, consapevoli «che il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo» (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 3). La tutela, la difesa e l’impegno per la creazione di un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, costituisce uno dei segni tangibili di speranza per i nostri fratelli, come Papa Francesco ci ha indicato nella Bolla di indizione dell’Anno giubilare (cf. Francesco, Spes non confundit, 12).
L’esperienza della pandemia ci ha consegnato un modo di lavorare nel quale è possibile coniugare in molte circostanze lavoro in presenza e a distanza, aumentando la nostra capacità di conciliare vita di lavoro e vita di relazioni soprattutto nel cosiddetto smart-working, ma rischiando anche di impoverire i rapporti umani tra i lavoratori e le stesse relazioni familiari. Un effetto strutturale e fondamentale lo sta esercitando la grave crisi demografica, per la quale vedremo nei prossimi anni uscire dal mercato del lavoro la generazione più consistente, sostituita progressivamente da un numero sempre più ridotto di giovani. Allo stesso tempo, accade qualcosa di paradossale, ossia lo sfruttamento di fratelli immigrati, dimenticando che la loro presenza può costituire un motivo di speranza per la nostra economia, ma solo se verranno integrati secondo parametri di giustizia. Inoltre, oggi, con quello che viene chiamato mismatch, ossia il disallineamento tra domanda e offerta, assistiamo contemporaneamente al fenomeno di posti di lavoro vacanti, che non trovano personale con le necessarie competenze, e giovani disoccupati che non hanno i requisiti adatti. Resta sullo sfondo, infine, la dura «legge di gravità» della competizione globale per la quale le imprese cercano di localizzarsi laddove i costi (quello del lavoro incluso) sono più bassi. E questo alimenta una spirale al ribasso su costo e dignità del lavoro.
Se il dato statistico sulla disoccupazione, in forte calo, potrebbe spingere all’ottimismo, sappiamo invece che dietro persone formalmente occupate c’è un lavoro povero. Occorre, infine, considerare la situazione delle donne, che in alcuni ambiti vengono penalizzate non solo con una minore retribuzione, ma anche con l’assenza di garanzie nei tempi della gravidanza e della maternità. Non ci sarà piena giustizia, infine, senza sicurezza sul lavoro, la cui mancanza fa ancora tante vittime. Per dare speranza occorre invertire queste tendenze: sarà uno dei segni più rilevanti del Giubileo.
Esistono tuttavia segni di speranza da alimentare per essere generativi e per far nascere e promuovere lavoro degno ma, come sempre, essi richiedono la nostra partecipazione attiva per proseguire l’opera della Creazione. Un segno di speranza è il riconoscimento nei contratti di lavoro nazionali dell’importanza della formazione permanente e della riqualificazione durante gli anni di lavoro. È necessario valorizzare, inoltre, lo strumento degli stessi contratti per impiegare le risorse a disposizione anche in forme di welfare e di assicurazione attenti alle emergenze sanitarie e familiari. È segno di speranza la creazione di relazioni virtuose tra datori di lavoro e lavoratori, dove il dialogo, la riconoscenza, i meccanismi di partecipazione, alimentano fiducia e cooperazione mettendo in moto le motivazioni più profonde della persona e facendo crescere la forza dell’impresa e la qualità del lavoro.
Come Chiesa abbiamo sentito, in questi anni, la responsabilità di impegnarci su questo fronte, non solo assicurando vicinanza e conforto a chi è in difficoltà, ma contribuendo a creare «un’alleanza sociale per la speranza che sia inclusiva e non ideologica» (Spes non confundit, 9). Lo abbiamo fatto anche con visioni che donano prospettive di speranza, come quelle dell’economia civile, e investendo in interventi generativi, volti alla creazione di una cultura del lavoro e di opportunità, come il Progetto Policoro, con il quale da trent’anni la Chiesa in Italia investe su giovani animatori di comunità formati per impegnarsi nelle loro diocesi. Negli ultimi anni essi hanno operato nel solco dell’ecologia integrale, che guarda alla sostenibilità e all’interdipendenza tra dimensione sociale ed ecosistema. Dal Progetto Policoro sono nati frutti significativi e imprese capaci di stare sul mercato e di promuovere lavoro degno anche nelle aree del Paese più disagiate.
Non ultimo, appare opportuno un appello alla responsabilità di tutti noi. L’economia e le leggi di mercato non devono passare sopra le nostre teste lasciandoci impotenti. Il mercato siamo noi: sia quando siamo imprenditori e lavoratori, sia quando promuoviamo e viviamo un consumo critico. La responsabilità sociale d’impresa è oggi un filone sempre più consolidato grazie anche agli interventi regolamentari che impongono alle aziende un bilancio sociale e prendono le distanze da comportamenti furbeschi volti solo alla speculazione. I credenti e tutti i cittadini di buona volontà sono chiamati in questo contesto propizio a stimolare le aziende a gareggiare tra loro anche sulla dignità del lavoro e a usare l’informazione sui loro comportamenti come criterio per le scelte di consumo e di risparmio.
La «mano invisibile» del mercato non è sufficiente a risolvere i gravi problemi oggi sul tappeto. È la nostra mano visibile che deve completare l’opera di con-creazione di una società equa e solidale e continuare a seminare speranza. Infatti, «i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza» (Spes non confundit, 7).