Un recente studio del Williams Institute dell’UCLA di Los Angeles evidenzia come la paura di discriminazioni spinga molte persone a non fare coming out sul luogo di lavoro e, in alcuni casi, a lasciare il proprio impiego (o a valutarne l’abbandono). Anche chi rimane, spesso si trova costretto ad adottare comportamenti di auto-protezione per ridurre il rischio di subire pregiudizi o micro-aggressioni: dall’adattare la propria espressione di genere alla gestione più accorta di piccoli gesti quotidiani. La mancanza di inclusività, reale o percepita, rappresenta così un ostacolo significativo anche per la retention. “In un contesto in cui il mercato del lavoro è sempre più competitivo, creare ambienti inclusivi diventa un asset strategico, oltre che un imprescindibile valore etico”, spiega Marika Delli Ficorelli, Head of HR di Zeta Service (azienda che, per tutto giugno, installerà delle “lavagne dell’inclusività” nelle sue 9 sedi in tutta Italia).

Giugno, mese del pride. Ma non tutti possono festeggiare, evidentemente. Secondo uno studio del Williams Institute della University of California di Los Angeles (UCLA), infatti, tre talenti LGBTQIA+ su 10 (il 33%) temono ancora di fare coming out” sul posto di lavoro e lasciano l’azienda per il timore di discriminazioni. Secondo i dati raccolti, in particolare, il timore di subire ritorsioni, esclusioni o pregiudizi influisce in modo diretto sul benessere delle persone e sulla loro produttività. A spaventare, soprattutto, è il giudizio di manager o supervisor (nel 46% dei casi le persone intervistate evitano di manifestare la propria sessualità a queste figure all’interno della propria azienda), mentre meno influente è il timore di dover affrontare giudizi o stereotipi da parte del proprio team o di colleghi e colleghe (in questo caso il problema ad aprirsi colpisce “solo” il 21%). E, osservando i dati, questi timori parrebbero purtroppo giustificati: quasi 4 talenti su 10 (il 39%), infatti, riportano di aver subito discriminazioni dopo essersi aperti sul posto di lavoro, contro solo poco più di 1 su 10 (12%) di quelli che hanno celato la propria identità. Per quanto riguarda le molestie, invece, queste percentuali salgono purtroppo e rispettivamente al 42% e al 17%. Il sondaggio è stato condotto interrogando quasi 2mila persone LGBTQIA+ e dotate di un impiego nel corso di 12 mesi, tra il 2023 e il 2024.

“I dati di questo studio – commenta Marika Delli Ficorelli, Head of HR di Zeta Service, realtà italiana leadernella consulenza e servizi HR e payroll – parlano chiaro: la paura di ritorsioni o discriminazioni sul posto di lavoro è ancora una realtà concreta per troppe persone LGBTQIA+. E questo non può più essere ignorato. Il punto cruciale non è ‘accogliere’ o ‘proteggere’, ma creare un ambiente in cui ognuno e ognuna possa, senza doversi adeguare o temere conseguenze, vivere la propria autenticità. Accogliere la diversità non è un atto di generosità, ma un’opportunità per evolvere: le aziende che lo comprendono crescono, innovano e arricchiscono il contesto lavorativo. La nostra esperienza ci dice che quando le persone possono esprimersi liberamente, senza filtri, tutto il sistema ne beneficia. Questo è uno dei motivi per cui riteniamo che la diversità non vada celebrata solo a giugno. Ogni giorno bisogna lavorare per costruire un ambiente in cui la differenza è leva di crescita, e dove le persone LGBTQIA+ sono parte integrante e riconosciuta della comunità aziendale. Significa avere politiche concrete, formazione continua e ascolto costante, perché l’inclusione non è un badge da esibire, ma un impegno quotidiano”.

Anche perché, come lo studio ha evidenziato, la mancanza di inclusività, reale o anche solo percepita, può essere un pericoloso freno per laretention di collaboratori di valore. Ai dati già menzionati, infatti, bisogna aggiungere come un altro 15% delle persone intervistate, quelle che non hanno abbandonato il lavoro per il timore di essere discriminate, ha comunque preso in considerazione l’idea di lasciare nel corso dei 12 mesi precedenti al sondaggio, anche se poi all’intenzione non ha fatto seguire una vera lettera di dimissioni. E chi rimane, comunque, adotta condotte atte a nascondere la propria identità: quasi 6 su 10 (58%) hanno dichiarato di adottare comportamenti di copertura” per evitare problemi di qualsiasi tipo. Tra questi, purtroppo, anche il modificare il proprio aspetto fisico, il cambiare quando, dove o con quale frequenza usare il bagno, l’evitare di parlare della propria famiglia o della propria vita sociale sul lavoro.

“Questi sono problemi reali, che incidono sulla competitività delle aziende. – prosegue Marika Delli Ficorelli, Head of HR di Zeta Service In un mercato del lavoro sempre più competitivo, trattenere i talenti è una sfida che passa anche dall’inclusività. Non si tratta solo di valori, ma di una strategia HR precisa. Un ambiente inclusivo è anche e soprattutto un asset competitivo. Quando le persone si sentono libere di essere sé stesse, non solo restano più a lungo, ma portano più energia, creatività e innovazione. È necessario, dal nostro punto di vista ‘privilegiato’, che tutto il mondo HR italiano faccia un passo avanti: l’inclusione è il futuro sostenibile del lavoro. Ed è una responsabilità che non possiamo più rimandare. Il nostro impegno, da questo punto di vista e anche in rapporto ai nostri clienti, è in prima linea. E ci teniamo a tracciare la strada in prima persona. In Zeta Service l’inclusione della community LGBTQIA+ non è un progetto a tempo, ma un impegno quotidiano: dalle politiche aziendali – come la nostra Policy Tolleranza Zero per cui ogni persona ha il diritto di sentirsi al sicuro, tutelata e ascoltata – al congedo matrimoniale esteso a tutte le tipologie di coppie e 30 giorni di congedo retribuito per tutti i genitori intenzionali/biologici/sociali e affettivi, fino alla formazione continua per abbattere stereotipi e bias inconsci. Ma lo sappiamo: un ambiente inclusivo non si crea con un documento. Si costruisce giorno dopo giorno, grazie a una cultura condivisa e concreta. I/le manager giocano un ruolo fondamentale in questo processo: guidano con l’esempio, ascoltano, danno spazio e valorizzano la diversità. Promuoviamo questi valori anche grazie alla collaborazione e al supporto con Fondazione Libellula, che lavora quotidianamente per diffondere rispetto e inclusione all’interno delle organizzazioni. Ci piace poi coinvolgere le nostre persone in quello che consideriamo un impegno per un reale e concreto cambiamento culturale: stiamo preparando delle lavagne dell’inclusività che saranno consegnate in tutte le nostre 9 sedi sul territorio nazionale. Le nostre persone potranno costruire insieme un racconto di cos’è l’inclusività per ognuno e ognuna di noi: la lavagna ci accompagnerà per tutto il mese in tutte le nostre sedi”.  Un impegno, quello di Zeta Service, che è stato riconosciuto anche a livello internazionale: la co-Ceo Debora Moretti ha recentemente ricevuto a Varsavia il Judges Awards all’interno dei Global Payroll Awards 2025 per l’impegno nel creare un luogo di lavoro in cui le persone si sentano al sicuro, valorizzate e libere di essere sé stesse.