di Jacopo Tommasini
foto di Massimo Tommasini
Un’ordinaria giornata all’interno della Casa Bianca all’improvviso viene scossa dalla rilevazione di un missile balistico diretto contro gli Stati Uniti; vengono avviate le procedure di sicurezza, ma questa volta non si tratta di un’esercitazione, e il panico prende il sopravvento. Inizia a questo punto una corsa contro il tempo per disinnescare la minaccia, durante la quale si proverà a trovare una risposta ai diversi punti interrogativi: dove è diretto il missile? Chi è il responsabile? Sarà possibile far fronte al pericolo? Si tratta di un attacco isolato, o del preludio di una guerra?
I titoli di testa aprono il film con una spinosa premessa: la Guerra Fredda ha instillato il pericolo della bomba atomica, e da allora il mondo è una polveriera pronta a esplodere.

Kathryn Bigelow, per la prima volta in concorso al festival di Venezia, presenta un film quasi interamente girato in interni, racchiuso dentro le mura di una Casa Bianca in preda al caos, contribuendo in tal modo ad alimentare nello spettatore un senso di occlusione quasi claustrofobico.
Il film mette in scena un interessante dualismo tra la dimensione professionale dei funzionari presidenziali – figure accademicamente formate e preparate ad affrontare minacce di tale portata – e la loro vulnerabilità emotiva. I personaggi, infatti, non sono rappresentati soltanto in funzione del ruolo istituzionale che ricoprono, ma vengono raccontati anche nella loro sfera più intima e umana: la sceneggiatura ne evidenzia paure, insicurezze e fragilità, realizzando un ritratto sfaccettato capace di coinvolgere e suscitare empatia.

Il punto di forza del film risiede nella notevole abilità tecnica della regista, sempre capace di approntare un’identità precisa e riconoscibile al proprio linguaggio visivo: oltre ad essere in grado di alternare forti momenti di tensione ad altri più distesi e di equilibrio, si rileva una maniacale attenzione nella composizione delle inquadrature e nei sottili e mai superflui movimenti di macchina.
Per quanto riguarda invece il montaggio, se da una parte esso si distingue per una grande attenzione ai raccordi visivi e sonori, dall’altra risulta un po’ penalizzato dalla scelta di frammentarlo a livello strutturale. Questa soluzione, finalizzata ad indagare gli stessi avvenimenti da diverse prospettive, contribuisce inavvertitamente a compromettere la tensione narrativa nello spettatore, attenuandone il coinvolgimento.

Il vero aspetto critico della pellicola risiede tuttavia nella mancanza di una vera presa di posizione da parte della regista, confezionando un prodotto capace di far discutere e riflettere, ma timido di attaccare davvero i detentori di quello che è l’arsenale atomico più potente a livello mondiale. La mancanza di coraggio che si denota nella risoluzione finale contribuisce a rendere più scialba e meno impattante l’accusa che Kathryn Bigelow rivolge a un mondo folle sempre in procinto di esplodere, come “una casa di dinamite”.


