SECONDO APPUNTAMENTO CON LA COLLABORAZIONE TRA “IL ROSSETTI” E “FESTIL” PER SCENA CONTEMPORANEA”

foto © Masiar Pasquali/Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Questa volta alla “Sala Bartoli” “Autoritratto” è in scena Davide Enia, che ha scritto la drammaturgia e ne è il protagonista, in una sorta di autobiografia temporale tra gli anni Ottanta e il 1992, molto caratterizzante il suo “Autoritratto” e il virgolettato calza a pennello: Enia ci descrive e ci racconta quegli anni di mafia che hanno paralizzato Palermo e non solo la Sicilia. Dal punto di vista strutturale, lo spettacolo è un modello di teatro della memoria, utilizzando un impianto essenziale e rigoroso per dare forza alla parola e al corpo. Non punta su scenografie o effetti visivi, ma costruisce una drammaturgia fatta di ritmo, ripetizione, alternanza di registri e dialogo costante con il suono. Vogliamo ricordare che Enia è il vincitore di premi di prestigio, come l’UBU, sia come autore che come attore, grazie alla sua profondità, originalità e la partecipazione degli artisti più significativi, profondi, originali e audaci che la scena teatrale abbia offerto negli ultimi anni.

Una trama che si intreccia con la sua vita, con la storia di un’Italia – dagli anni Ottanta fino al 1992 – che si confronta con temi di violenza e di lutto, riportandoci, come nel suo stile, alla memoria dei fatti dell’Italia “mafiosa”: le stragi, gli omicidi, la spavalda realtà della mafia, di Cosa Nostra. Enia ci offre un punto si vista angolare diverso: di un giovane che vive a Palermo e che fin dalla tenera età di 8 anni, impara a conoscere il “Male deformante” di un potere che sovrasta. Lo fa attraverso il linguaggio che gli è proprio e che nasce dall’intreccio di canto e parole, corpo e dialetto: un linguaggio teatrale che fonde il “cunto”, la tradizione orale siciliana di racconto, dialetto, corpo, canto e recitazione.

Per affrontare questo tema drammatico che riguarda tutti: il rapporto quasi nevrotico e di rimozione di Cosa Nostra e il suo devastante impatto emotivo nella vita di ognuno di noi, Enia frammista ricordi personali e vita propria, offrendo un impatto emotivo che cattura l’attenzione dello spettatore offrendoci una visione molte delle volte dai più non compresa: la Mafia è parte della nostra la coscienza collettiva, influisce sul pensiero e ovviamente si ripercuote sull’artista. Enia ci lascia giustamente l’amaro in bocca: la Mafia per la coscienza collettiva è come un cancro che non si vuol comprender che esiste e che proprio per questo non lo si capisce, combatte: piuttosto viene circoscritto , sottovalutato, addirittura rimosso e standardizzato. 

I punti di forza dello spettacolo stanno proprio nella coerenza tra forma e contenuto: il vuoto scenico diventa allegoria del distacco dalla memoria; la frammentarietà narrativa rispecchia quella del ricordo; il dialetto, i silenzi e le esplosioni vocali anche nel canto, incarnano la difficoltà di dire il non detto. In questo senso “Autoritratto” non è solo un racconto autobiografico: la Mafia è il tema centrale, ed è un laboratorio formale che mostra come il teatro possa farsi strumento di osservazione introspettiva e civile attraverso una struttura sostanziale e vigorosa.

Infatti lo spettacolo alterna scatti, dove la narrazione prende velocità, le frasi si sovrappongono, l’intensità aumenta fino a diventare quasi un urlo con giuste pause e silenzi studiati, offendo momenti sospesi della narrazione. Questi obbligano lo spettatore a confrontarsi con l’assenza a riconoscere il vuoto della solitudine e con ritorni ciclici di alcune battute chiave, che diventano immagini ricorrenti anche per lo stesso, venendo ripetute più volte, offrendo musicalità allo spettacolo quasi fosse una una partitura con i suoi temi e variazioni.

Il ritmo prende forma nella non linearità: è ondulatorio, costruito su onde emotive che trascinano e poi si ritirano, creando non un teatro narrativo in senso stretto, ma di forma ibrida tra oratoria civile, poesia scenica e performance musicale grazie al Suono di Francesco Vitaliti su musiche di Barocchieri. Ed ecco che il minimalismo accentuato e ricercato di Enia potrebbe far pensare – per chi non ha visto lo spettacolo – ad una “auto-messa in scena” di se stesso, ma non è così: Enia ha la forza di un testo che intreccia la sua vita con ciò che la Mafia ha prodotto: lutti, stragi, corruzione, incapacità di svelare un Male assoluto e ci porta a riflettere e comprendere cosa rappresenti ancora in Italia. Le luci di Paolo Casati lavorano per immagini fisse, non disegnano ambienti, ma atmosfere: chiaroscuri che centrano Enia in una solitudine sul palco. Sono tagli netti che si accomunano agli impeti, dissolvenze che accompagnano i passaggi di questa memoria frammentata.

I suoi quadri narrativi che si richiamano e si intrecciano non offrono una trama tradizionale come un compitino: inizio, svolgimento e fine, ma un fiotto di pensieri, ricordi e riflessioni che si alternano a formare loro tasselli: l’intero mosaico drammaturgico.

Vi è un movimento circolare: dall’infanzia con il ricordo del primo morto ammazzato visto tornando da scuola, saltando agli anni delle stragi, fino all’oggi. Qui il protagonista si raffronta con la propria inettitudine, forse volontaria, di ricordare, con “profondi” buchi di memoria, e ritorna così al tema dell’assenza e del silenzio.

Questa costruzione non è casuale: Enia lavora su una drammaturgia della memoria, fatta di frammenti, interruzioni volontarie, sospensioni. È un impianto volutamente non cronologico, che restituisce l’esperienza soggettiva del trauma mai lineare, mai completamente ricostruibile.

Ah, “dimenticavamo” anche noi……. lo spettacolo è stato un urlo pacato ma straziante, forte, generoso, orgoglioso di un palermitano che ama la sua città è che la ha vista lacrimare sangue fin troppe volte dai muri, vicoli e piazze senza che esplodesse la rabbia dei suoi concittadini e la sua, annichiliti forse da una “consuetudine” imposta, decisa e voluta da Cosa Nostra: Enia si è “ricordato” e ci ha ricordato le stragi di Capaci e Via d’Amelio, come se la mafia volesse strappare il cuore alla speranza di un cambiamento a tutta Palermo, alla Sicilia stessa, uccidendo Falcone e Borsellino, ma forse quelle stragi sono state l’innesco di una bomba non della mafia ma quello che ogni palermitano aveva nascosto nel profondo dell’anima: la ribellione non più silente di tutta la sua gente.

Sono stati anche pochi dieci minuti di applausi finali, grazie Enia.

Vogliamo segnalarvi, per chi non sia riuscito ad assistere a questo forte e sentito spettacolo il libro di Enia appena uscito per i tomi della “Sellerio”: ”Autoritratto. Istruzioni per sopravvivere a Palermo”

In replica alla “Sala Bartoli” Giovedì 30 Ottobre alle ore 21.00 e Venerdì 31 Ottobre alle ore 19.00

“AUTORITRATTO”

Di e con Davide Enia

Musiche composte ed eseguite da Giulio Barocchieri
Suono Francesco Vitaliti

Luci Paolo Casati

Si ringrazia Antonio Marras per gli abiti di scena

Una Co-Produzione CSS Teatro Stabile di innovazione del FVG, Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, Accademia Perduta Romagna Teatri, Spoleto Festival dei Due Mondi