Un Teatro Pasolini gremito in ogni ordine di posto ha accolto, lunedì sera Roberto Vecchioni per la lectio magistralis “Pasolini, poeta dell’universalità umana”, che ha concluso le celebrazioni per i 50 anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini, promosse dal Centro Studi Pasolini di Casarsa della Delizia in collaborazione con il Comune di Casarsa, enti e istituzioni.

In un intervento intenso e appassionato, il professore della canzone italiana ha tracciato un ritratto del poeta come voce solitaria e profetica: «Pasolini – ha detto – ha illuminato il Novecento. Aveva sentito con precisione che il mondo stava andando allo sbando, verso un’epoca meccanica e falsa. Capì che con il Novecento finiva l’umanesimo, e che senza umanesimo non c’è più niente».

Vecchioni ha ricordato come il poeta “non trovasse compagni intellettuali, eppure li conosceva tutti: era solo perché era unico, non perché fosse isolato”. E ancora: «Pasolini è stato il poeta della verità, uno che non ha mai avuto paura di pagare per ciò che diceva. In lui la poesia diventa un atto civile: non è ornamento, ma un modo per rischiare la vita».

Il cantautore ha poi riflettuto sul friulano per Pasolini lingua madre da cui derivava las sua prosa “così chiara, invadente e vera, mentre nell’italiano c’è qualcosa di coercitivo, perché l’italiano – diceva Pasolini – è la lingua del potere. Per questo cercava nel friulano e nei dialetti la voce autentica del popolo, la lingua dell’anima”.

Secondo Vecchioni, Pasolini “credeva nell’eguaglianza dei diritti e vedeva nella borghesia l’anti-umanità, quel conformismo che chiamiamo sviluppo, ma che non è vero progresso”. Ha definito Pasolini “poeta di come dovrebbe essere l’essere umano”, aggiungendo che “ci insegna che non saremo mai soli se continueremo a cercare le persone e i valori eterni dell’uomo”.

Ha concluso leggendo Supplica a mia madre, poesia nella quale, ha detto, «Pasolini confessa che la sua anima è quella di Susanna, è Casarsa: quando ne è lontano gli manca l’anima stessa e per questo il senso di profonda solitudine e la sete di corpi e di fisicità».

La serata ha chiuso due intense giornate di celebrazioni che hanno posto  Casarsa sotto i riflettori nazionali trasformandola in un laboratorio di memoria e futuro. Il 2 e 3 novembre, il Centro Studi Pasolini ha riunito oltre 550 studenti, studiosi, artisti e istituzioni in un percorso che ha voluto “riaccendere la parola di Pasolini come strumento per comprendere il presente”.

Domenica 2 novembre, a cinquant’anni esatti dalla morte del poeta, la commossa cerimonia al cimitero di Casarsa – dove riposa accanto alla madre Susanna – ha aperto ufficialmente gli eventi. In serata, al Teatro Arrigoni di San Vito al Tagliamento, Edoardo Camurri ha portato in scena “Pasolini, parola viva”, un racconto in dialogo con studiosi di Pasolini fra cinema, musica e letteratura che ha restituito la voce e il corpo del poeta.

Lunedì 3 novembre, il Teatro Pasolini ha ospitato il convegno internazionale “Pasolini e l’immaginario collettivo”, curato da Maura Locantore, con i massimi esperti pasoliniani fra i quali Giulio Ferroni, che hanno discusso del ruolo di Pasolini nella cultura del Novecento e nella formazione dell’immaginario contemporaneo.

«Pasolini ci obbliga ancora a pensare – ha detto Locantore – perché la sua parola non è nostalgia, ma visione del futuro».

Per Marco Salvadori, presidente del Centro Studi, «questo anniversario non è una chiusura, ma una continuità. Pasolini appartiene a chi rifiuta l’omologazione e cerca un linguaggio vero, umano e libero».

A concludere il programma, la Pasolini High School transfrontaliera, con studenti italiani, sloveni e di altri Paesi europei, ha confermato come l’eredità del poeta resti un ponte oltre ogni confine.

Due giornate che hanno riaffermato Casarsa come cuore pulsante del pensiero pasoliniano: non solo luogo della memoria, ma spazio in cui, come ha ricordato Vecchioni, «possiamo ancora tentare di far rinascere l’umanità che Pasolini vedeva finire».