di Jacopo Tommasini
foto di Massimo Tommasini
Con Il film “La Grazia” di Paolo Sorrentino si è aperta ufficialmente l’82° Mostra del Cinema di Venezia. Il regista napoletano dirige il settimo film con protagonista Toni Servillo, in un sodalizio artistico ormai consolidato tra i due amici che perdura da più di venti anni. Tale vicinanza artistica e personale tra il regista e l’attore si riflette nella scrittura e nella stesura del protagonista del film, Mariano de Santis, Presidente della Repubblica giunto alla fine del proprio mandato settennale.

In particolare “La Grazia” presenta al pubblico uno scorcio della quotidianità della più alta carica dello stato durante il semestre bianco: Mariano è un Presidente della Repubblica di fede democristiana, di indole cauta, prudente e attendista, che gli ha permesso di scongiurare diverse crisi di governo e ottenere in tal modo un ampio consenso popolare. Proprio la sua natura, che gli ha consentito di adempiere con proficuità alla propria carica di Presidente e alla vecchia professione di giurista, sarà la causa principale di aspri diverbi con la figlia Dorotea (interpretata in maniera convincente da Anna Ferzetti), anch’ella giurista. Dorotea è una donna risoluta e combattiva, ma anche una figlia fragile, sempre attenta e protettiva nei confronti del padre, in costante ricerca di un suo cenno di approvazione, di una parola di conforto, di un abbraccio. Il loro rapporto tuttavia è incrinato dal peso dell’autorevolezza che Mariano porta con sé, e potrebbe essere ulteriormente raggelato da un disegno di legge, avanzato proprio da Dorotea, sulla regolamentazione dell’eutanasia. De Santis diviene inquieto, vittima del dubbio, timoroso di poter essere esposto a feroci critiche da parte dell’opinione pubblica. Vicino a tale dubbio, all’improvviso, altre questioni morali spezzeranno la monotonia dei suoi rituali quotidiani, quando due delicate richieste di grazia verranno avanzate da parte di due assassini: un professore che ha tolto la vita alla moglie giunta nelle ultime fasi di Alzheimer, e una donna che ha pugnalato nel sonno il marito violento.

Sorrentino qui calca decisamente troppo la mano, appesantendo ulteriormente l’angoscia del protagonista, che diviene succube non solo dei precedenti dubbi morali, ma anche del gravoso ricordo del tradimento perpetuato dalla defunta moglie quarant’anni prima; il regista inoltre intorpidisce il tutto ricorrendo a scontate allegorie visive, come l’avulsa scena in cui Mariano si immagina fluttuare all’interno di una capsula spaziale. Eppure, il quesito posto in questa inefficace allegoria rimane interessante: far valere la propria volontà può acquietare uno spirito irresoluto e affaticato dal fardello della gravitas, la virtù latina che indicava autorevolezza, autocontrollo e senso di responsabilità?
Se da una parte la suggestione visiva impressiona lo spettatore (emblematica la sequenza di una lacrima che fluttua e volteggia in assenza di gravità, o di un cavallo agonizzante tramortito al suolo), dall’altra questa stessa forza non colpisce né lascia il segno, anzi contribuisce a rendere il film pregno di momenti in cui si avverte palpabilmente la spasmodica volontà di stupire.

Rimane ciononostante lodevole e impeccabile la componente artistica e tecnica di Sorrentino, con scelte registiche posate e funzionali alla narrazione, alternando abilmente intensi primi piani di Servillo, la cui forza viene accresciuta dalla sua enorme capacità espressiva, da lente carrellate in piano sequenza che ne seguono i movimenti. Cristiano Travaglioli al montaggio conferisce alla narrazione una discreta fluidità, frammentando efficacemente la storia con i ricorrenti flashback che assalgono Mariano di quando conobbe, da ragazzo, la moglie.
In conclusione “La Grazia” è sicuramente un film ambizioso, che affascina visivamente ma che talvolta inciampa nel raccordare, a livello narrativo, più sequenze, e che viene ingolfato dall’eccedenza dei temi che si appresta a trattare.


