
In una Trieste raccolta nel silenzio dell’inverno, quando l’aria di dicembre sembra rendere più nitidi i pensieri e più profonde le ombre della memoria, si è svolta, mercoledì 17 dicembre, negli spazi carichi di storia della Libreria del Caffè San Marco, la presentazione de Il Segreto, libro firmato dall’Anonimo Triestino. Un nome che è, più che uno pseudonimo, un gesto di ritrazione, un atto di pudore; e dietro quel velo discreto si riconosce la figura appartata e luminosa del nostro “Nini”, Giorgio Voghera, scrittore che Trieste ha generato e che troppo a lungo ha custodito in silenzio.
Non è stata soltanto la presentazione di un libro, ma una sorta di ritorno: il ritorno di una voce sommessa ma necessaria, di una scrittura che non cerca il clamore ma la verità, di una presenza che riaffiora nella coscienza collettiva della città come un ricordo che non ha mai smesso di vivere. “Il Segreto” non torna semplicemente sugli scaffali di una libreria: torna a interrogare, a toccare, a farsi ascoltare.

L’iniziativa nasce dall’intuizione sensibile e quasi inevitabile di Alexandros Delithanassis, custode vigile del “Caffè e della Libreria San Marco”, luogo che non è soltanto esercizio commerciale, ma spazio dell’anima triestina, rifugio di scrittori, come l Voghera, lettori, pensieri . È stato lui a riconoscere in questo libro la necessità di una nuova vita editoriale, sottraendolo a quell’oblio che troppo spesso inghiotte gli autori triestini, come se la città, dopo averli generati, faticasse a trattenerli nella propria memoria.
Pubblicato da Asterios Editore nella collana “San Marco”, il volume si presenta arricchito dalla prolusione di Claudio Magris e dall’introduzione del professor Elvio Guagnini: due sguardi diversi ma convergenti, che accompagnano il lettore all’ingresso di un testo fragile e potentissimo, dove la timidezza diventa forma letteraria e il non detto si fa parola.
Alla serata hanno preso parte, come oratori, il professor Guagnini e Stelio Vinci, amico di Giorgio Voghera, studioso e saggista, testimone di una vicinanza che fu intellettuale ma, prima ancora, profondamente umana. Le sue parole non sono state semplici ricostruzioni, ma frammenti di vita restituiti con la cautela che si riserva alle cose care, a ciò che non si vuole tradire.

Claudio Magris, pur assente fisicamente, ha affidato al libro una frase che è insieme ritratto, riconoscimento e dichiarazione di affetto: “Giorgio Voghera era un uomo straordinario, pervaso da una profonda pietas per la condizione umana; credo che la sua umanità aiutasse chi gli era vicino.”
In queste parole si avverte la conoscenza autentica di un uomo che abitava il mondo con discrezione, che non alzava mai la voce ma sapeva farsi ascoltare, che osservava l’umano con partecipazione silenziosa, mai giudicante.Va detto con chiarezza: la ristampa de Il Segreto è un atto di giustizia. Giorgio Voghera, premiato con il San Giusto d’Oro e scomparso nel 1999, appartiene a quella schiera di scrittori che non hanno mai cercato la ribalta, ma che proprio per questo hanno lasciato pagine destinate a durare. Delithanassis racconta di essersi innamorato del libro immediatamente, di averlo letto in pochi giorni con l’urgenza di chi riconosce una voce necessaria, e di non aver avuto esitazioni nel riportarlo alla luce non appena se ne è presentata la possibilità.

Per noi, che siamo stati parenti e amici di “Nini”, rivedere il suo nome tornare tra i libri è stato come riconoscerne il passo lieve in una via familiare. È stato un momento di commozione intima, silenziosa. E il desiderio è che questo ritorno non resti confinato a Trieste, perché l’opera di Voghera travalica i confini cittadini: essa attraversa quasi un secolo di letteratura e di storia, restituendolo con uno sguardo che è sempre umano prima che intellettuale.In Gli anni della psicanalisi Trieste diventa teatro di un Novecento inquieto, attraversato dalle teorie freudiane, con figure come Italo Svevo alla ricerca febbrile di risposte; in Quaderni di Israele la storia si fa ferita aperta, racconto dei territori e delle coscienze nel secondo dopoguerra; in Il Direttore Generale emerge una vena satirica mai scontata; negli epistolari, la scrittura si fa dialogo dell’anima.Stelio Vinci ha raccontato con affettuosa ironia l’inizio di questa nuova avventura editoriale, accennando alla questione ormai evanescente dei diritti d’autore, come se il tempo avesse deciso di sciogliere ogni nodo. Il Segreto, ha ricordato, gode di grande considerazione in Germania e in Austria, spesso accostato alla Coscienza di Zeno: nelle pagine dedicate agli anni scolastici, tra i Venti e i Cinquanta, molti lettori riconoscono se stessi, le proprie incertezze, le proprie paure.
Inoltre Vinci ha poi ricordato il suo primo incontro con Voghera, visto seduto alla gelateria Costa, in viale XX Settembre, e quella straordinaria coerenza tra l’uomo e lo scrittore: parlava come scriveva, con una voce pacata, paziente, mai invadente. All’epoca era poco più che trentenne e non seppe resistere alla tentazione di fermarlo; da quel gesto nacque una frequentazione che sarebbe cresciuta nel tempo.


Vinci ha poi ricordato il suo primo incontro con Voghera, visto seduto alla gelateria Costa, in viale XX Settembre, e quella straordinaria coerenza tra l’uomo e lo scrittore: parlava come scriveva, con una voce pacata, paziente, mai invadente. All’epoca era poco più che trentenne e non seppe resistere alla tentazione di fermarlo; da quel gesto nacque una frequentazione che sarebbe cresciuta nel tempo. Sull’autore scoppiò subito nel 1961 una caccia al vero autore ma, secondo Vinci e Gugnini, gli indizi sui luoghi, sui compagni di classe e professori , seppur camuffati non lasciano dubbi: trattasi quasi sicuramente di Giorgio Voghera Fano. A Vinci e a tutti gli altri però il famoso scrittore, all’epoca impiegato alla “RAS Assicurazioni” raccontava con convinzione che in realtà l’autore era suo padre Guido che si avvalse di suoi appunti. Molti gli incontri nei vari Caffè storici di Trieste, il “San Marco” naturalmente ma anche al “Tommaseo” e altri; naturalmente si parlava anche alle famigerate “Leggi Razziali” del ’38 partite proprio da Trieste, della guerra che incombe e che allora bisogna fare presto ad andare via ma di questo capitolo di storia della vita di Voghera lo ha ripreso poi l’altro relatore.
Poi ha poi preso la parola infatti, il professor Elvio Guagnini, che ha appassionato il pubblico con il suo lessico rigoroso e la sua profonda erudizione sulla letteratura italiana, europea e triestina, offrendo uno sguardo partecipe anche in quanto amico di Giorgio Voghera. Tra i molti riferimenti storici, critici e introspettivi, ha voluto sottolineare come ciò che colpisce davvero sia la passione purissima per la scrittura: una scrittura che non nasce dal desiderio di apparire, ma dall’urgenza di dire ciò che altrimenti resterebbe imprigionato. E quando il centro del racconto è un amore inconfessabile, l’anonimato diventa una forma di protezione, quasi una necessità morale.
Attorno a “Il Segreto” si addensarono, fin dalla prima edizione del 1961, curiosità e supposizioni: “Le bretelle portate sopra i vestiti”, dettaglio quasi simbolico, riportate da Marco Nozza, famoso giornalista e saggista, inviato a Trieste per scoprire chi fosse questo “Anonimo” per la testata “L’Europeo” ; i luoghi appena travestiti; i compagni di classe riconoscibili; l’ombra luminosa di Bianca Sorani, in realtà Bianca Segrè, che avrebbe ricevuto il manoscritto fino a Santiago del Cile. Eugenio Montale parlò di quel ragazzo del libro,- non troppo entusiasticamente per poi ricredersi – timidissimo, perdutamente innamorato, incapace perfino di rivolgere la parola all’oggetto del suo sentimento. Eppure Voghera continuò a sostenere che l’autore fosse suo padre Guido, che aveva fatto uso dei suoi appunti: un ulteriore velo steso sopra una verità forse troppo intima per essere esposta.Guagnini ha ripreso l’accenno sulle oscene “Leggi razziali” del 1938 e nei caffè storici di Trieste, si parlava sommessamente di questo e del dover scappare se si era ebrei, della guerra imminente, della necessità di partire. Bianca Segrè andò in Argentina, Voghera in Palestina ma una sottile trama epistolare continuò a tenerli uniti, come un filo invisibile che resiste anche quando tutto sembra spezzarsi.

Continuando la serata, intervallata dalle intense letture dell’attore Lorenzo Zuffi, il professor Guagnini ha proseguito con un intervento di rara finezza, ricordando come Voghera sapesse parlare anche ai giovani. Il Segreto, ha affermato, dovrebbe essere letto nelle scuole, perché insegna a dare parola a ciò che resta nascosto, a nominare sentimenti che oggi faticano a emergere.
Ha citato Il quaderno di Israele, forse il vertice della sua opera e l’introvabile Maxi Brogliaccio, conservato presso l’Università di Trieste, dove esiste un Fondo Voghera che lo colloca, silenziosamente ma con giustizia, tra i grandi della letteratura italiana.
La sala del Caffè San Marco era gremita, con persone anche in piedi: segno che Giorgio Voghera non è mai davvero uscito dal cuore della sua città.

E per concludere, lasciamo che sia lui a parlare, “Nini”, con una voce che ancora oggi vibra di pudore e verità, a testimonianza di un modo di scrivere che non cerca effetti, ma lascia segni: “Se mi vedeva sotto tale luce, allora era naturale che la mia misoginia le dovesse sembrare una stramberia senza importanza, una cosa da ragazzi; e se anche le sarà venuto talvolta il sospetto che fossi innamorato di lei, mi avrà creduto incapace di un tale sentimento e avrà scacciato subito questo pensiero senza annettergli alcuna importanza.”
Per un nostro breve accenno a chi era per noi Giorgio Voghera potete leggere il nostro articolo a pagina: https://www.nordestnews.it/2025/12/17/do-ciacole-col-cugin-nini-una-chiacchierata-di-ricordi-con-chi-ci-e-sempre-vicino-al-cuore-e-alla-mente-con-un-caffe-giorgio-voghera/