In occasione del suo ottantesimo anniversario il Club Alpinistico Triestino propone un appuntamento dedicato alle nuove indagini nelle grotte preistoriche del Carso, che segnano la ripresa delle ricerche archeologiche dopo alcuni decenni di inattività.
Questo incontro, che si terrà mercoledì 15 ottobre 2025, alle ore 17.30, è inserito nella rassegna “Una luce sempre accesa”, promossa e organizzata dal Comune di Trieste – Assessorato alle Politiche della Cultura e del Turismo, nella Sala Luttazzi del Magazzino 26 del Porto Vecchio di Trieste.
In questa occasione, saranno presentati i risultati di recenti ricerche in ambiente speleologico del Carso triestino: gli scavi condotti su concessione del Ministero della Cultura dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari Venezia, in collaborazione con l’Institute of Archaeology ZRC SAZU, dal Centro Internazionale di Fisica Teorica Abdus Salam e dall’Unità di Ricerca di Preistoria e Antropologia dell’Università degli Studi di Siena, e le indagini direttamente eseguite dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Friuli Venezia Giulia nell’ambito della propria programmazione lavori.
Le presentazioni illustreranno grotte e ripari sotto roccia in corso di studio, importanti archivi paleoambientali che permettono di ricostruire la preistoria del territorio, dal tempo degli ultimi cacciatori-raccoglitori fino al periodo dei castellieri. L’incontro porrà inoltre l’accento sull’importanza delle grotte come patrimonio da studiare, conservare e rispettare, con un occhio di riguardo alla comunità speleologica che le frequenta.
Un’occasione unica per conoscere i progressi della ricerca e riflettere sul valore delle grotte come archivi naturali e culturali da preservare per le future generazioni.
Introducono:
Franco Gherlizza (Presidente del Club Alpinistico Triestino)
Franco Riosa (Direttore della Scuola di Speleologia “Ennio Gherlizza” del CAT)
Relatori:
Roberto Micheli (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e paesaggio per il Friuli Venezia Giulia)
Manuela Montagnari Kokelj (già Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Trieste)
Federico Bernardini (Dipartimento di Studi Umanistici, Università Ca’ Foscari Venezia, Multidisciplinary Laboratory, The “Abdus Salam” International Centre for Theoretical Physics)
Elena Leghissa (ZRC SAZU, Institute of Archaeology – Ljubljana)
Francesco Boschin (Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente, Unità di Ricerca di Preistoria e Antropologia, Università degli Studi di Siena)
Andrea Pessina (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e paesaggio per le province di Ancona e di Pesaro e Urbino)
DETTAGLI RELATIVI AI SINGOLI INTERVENTI:
ROBERTO MICHELI
Funzionario archeologo, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e paesaggio per il Friuli Venezia Giulia
Titolo:Documentare l’oscurità: le grotte del Carso tra conoscenza e tutela archeologica
Le grotte sono uno dei fenomeni più caratteristici del paesaggio carsico che ha origine dalla dissoluzione chimica delle rocce carbonatiche da parte dell’acqua. Questi spazi vuoti che si estendono alle volte in estesi reticoli nelle profondità delle masse calcaree sono stati colmati nel tempo dal deposito di materiali diversi, quali blocchi di frana, ciottoli e concrezioni, e da sedimenti vari. A questo processo naturale va aggiunto l’apporto e le trasformazioni prodotte dall’azione della presenza umana: le cavità naturali sono state utilizzate sin da un momento molto antico della storia dell’uomo come abitazione, ricovero per gli animali e luogo di sepoltura o di culto. Nell’area del Carso, dove la concentrazione delle grotte è, come è noto, molto alta, le ricerche archeologiche hanno preso avvio già nella seconda metà dell’Ottocento al tempo delle prime esplorazioni nelle cavità ipogee, quando iniziò a svilupparsi la moderna speleologia. Da quel tempo molte grotte carsiche sono state indagate con il proposito di trovare le tracce dell’uomo preistorico e ciò ha determinato un susseguirsi di rinvenimenti e scavi dei depositi antropici delle cavità che ha consentito di raccogliere una considerevole massa di materiali archeologici di varie epoche, spesso però non sono associati a dati affidabili del contesto di provenienza. Queste attività hanno determinato in molti casi il danneggiamento o addirittura la distruzione di importanti stratigrafie archeologiche sepolte. Dopo più di un secolo e mezzo di ricerche archeologiche nelle grotte del Carso abbiamo acquisito molte informazioni sulla storia profonda di questo territorio, ma ancora numerose questioni rimangono aperte e senza apparente soluzione. Le grotte e i loro depositi di riempimento sono, infatti, degli eccezionali archivi paleoambientali e geologici, ma, allo stesso tempo, sono importanti testimonianze sulla storia antica dell’uomo e delle relazioni con l’ambiente e le sue risorse. Dopo molti anni di sospensione delle ricerche archeologiche nelle grotte del Carso, l’avvio di nuove indagini con un approccio multidiscliplinare e l’applicazione di metodi accurati di scavo stratigrafico ci stanno svelando la ricchezza dei depositi archeologici sepolti nelle cavità e tutta la complessità del mondo ipogeo frequentato dall’uomo nel corso della preistoria.
MANUELA MONTAGNARI KOKELJ
Già Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Trieste
Titolo:C.R.I.G.A. – Catasto Ragionato Informatico delle Grotte Archeologiche, banca dati delle scoperte e degli studi precedenti le nuove indagini nel Carso triestino
I dati sulla frequentazione delle cavità del Carso triestino (e del resto della Regione) da parte di uomini e animali in antico, dalla Preistoria al Medioevo, sono attualmente riuniti nel C.R.I.G.A. – Catasto Ragionato Informatico delle Grotte Archeologiche, accessibile online sul sito del Catasto Speleologico Regionale: https://catastogrotte.regione.fvg.it/pagina/100/criga .
C.R.I.G.A. nacque alla fine degli anni 1990 inizialmente come Progetto Grotte, progetto scientifico a carattere interdisciplinare dell’Università di Trieste, per rispondere a una domanda di interesse archeologico: è possibile risalire alle motivazioni delle scelte insediative, apparentemente piuttosto selettive, fatte da gruppi umani diversi che nel corso della Preistoria avevano lasciato tracce della loro presenza nel Carso triestino?
Questa domanda portò a una revisione sistematica delle pubblicazioni scientifiche e divulgative e dei dati d’archivio, sia storico-archeologici che geologico-naturalistici, e alla contestuale verifica sul terreno delle caratteristiche geologiche, geomorfologiche e idrogeologiche delle cavità naturali antropizzate.
Nel 2020 un Accordo attuativo Regione Autonoma FVG-Università di Trieste permise di sviluppare la banca dati a scala regionale, con il coinvolgimento di altri enti di ricerca, musei e gruppi speleologici, e di inserire i risultati nel Catasto Speleologico Regionale. Questa versione aggiornata di C.R.I.G.A. costituisce, dunque, una premessa importante per gli sviluppi futuri della ricerca.
FEDERICO BERNARDINI* – ELENA LEGHISSA** – FRANCESCO BOSCHIN***
*Dipartimento di Studi Umanistici, Università Ca’ Foscari Venezia, Multidisciplinary Laboratory, The “Abdus Salam” International Centre for Theoretical Physics
** ZRC SAZU, Institute of Archaeology – Ljubljana
***Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente, Unità di Ricerca di Preistoria e Antropologia, Università degli Studi di Siena
Titolo:Tre anni di scavi alla GrottaTina Jama
Nel corso dell’incontro saranno presentati i risultati delle ricerche archeologiche presso la grotta Tina Jama, sul Monte Lanaro nel Carso triestino, dove è in corso la terza campagna di scavi in concessione ministeriale.
“Le indagini hanno restituito resti che coprono un arco cronologico molto ampio, dal Mesolitico fino all’età dei Castellieri, contribuendo a chiarire aspetti fondamentali della preistoria recente nell’area adriatica nord-orientale” – spiega il direttore dello scavo, Federico Bernardini.
In particolare, gli studi si sono concentrati sui livelli dell’età del Bronzo e del Rame finale (III millennio a.C.), un periodo chiave per l’evoluzione tecnologica, culturale e sociale in Europa.
“I dati preliminari suggeriscono che il Carso fosse in stretto rapporto con la Cultura di Cetina in Dalmazia e al contempo con le culture coeve dell’Italia nord-orientale e dell’Europa centrale, tra cui Polada e Gata-Wieselburg ” – aggiunge Elena Leghissa.
Lo studio dei resti ossei (umani e non) viene condotto dall’Unità di Ricerca di Preistoria e Antropologia del DSFTA dell’Università di Siena. Per quanto riguarda le ossa umane, sarà interessante analizzare alcune possibili tracce di macellazione, presenti su un frammento di cranio, tramite l’utilizzo di un microscopio digitale portatile che restituisce immagini 3D della superficie degli oggetti osservati. Questo studio potrà gettare nuova luce sulle antiche pratiche funerarie.
Lo studio dei resti faunistici fornirà invece informazioni sulle modalità di sfruttamento delle risorse animali da parte delle popolazioni pre- e protostoriche. In particolare possono essere ricostruiti aspetti che riguardano da un lato l’uso della grotta, a dall’altro le pratiche di allevamento e venatorie sul Carso Triestino.
ANDREA PESSINA
Soprintendente, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e paesaggio per le province di Ancona e di Pesaro e Urbino
Titolo:Nuovi dati da alcune cavità di interesse preistorico del Carso triestino
Nella primavera 2025 la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e paesaggio per il Friuli Venezia Giulia ha condotto una serie di sondaggi in alcune cavità di possibile interesse archeologico ubicate nel territorio del Comune di Sgonico (Trieste). Le ricerche – della durata di 6 settimane – sono state finanziate interamente dal Ministero per la Cultura e sono state effettuate dagli specialisti della ditta CORA di Trento, con la preziosa collaborazione di volontari dei Gruppi speleologici locali.
La prima cavità interessata dalle indagini è la Grotta 7 di Capodanno, censita con il n. 4796 del Catasto Speleologico regionale, una cavità posta ad una quota di 305 m slm, costituita da un basso vano discendente (in nessun punto della grotta è ora possibile stare eretti) la cui volta segue l’andamento degli strati.
La cavità era stata individuata intorno al 1990 e segnalata per la prima volta da Franco Gherlizza su Spelaeus 2, 2019, Club Alpinistico Triestino. La grotta è risultata fin da subito di indubbio interesse per il deposito preistorico che conserva; già nel corso delle operazioni di rilevamento speleologico erano stati trovati frammenti ceramici di impasto e fattura diversi, misti però a materiale di chiara origine più recente. La masiera, che delimita in parte il fondo della dolina sulla quale si apre la grotta, si presentava parzialmente ricoperta da terreno di riporto proveniente dall’interno della cavità, terreno che negli anni ha restituito frammenti ceramici, industrie litiche e resti di faune.
L’esame di questo materiale aveva portato al riconoscimento di una frequentazione databile al Mesolitico recente (industrie litiche caratterizzate dalla presenza di trapezi e tecnica del microbulino) e di una occupazione riferibile al Neolitico antico (ceramiche peculiari dell’aspetto di Vlaska).
Nel corso della campagna di scavo 2025 sono state effettuate, una serie di indagini stratigrafiche mirate a verificare la presenza, la natura e la potenza di stratificazioni di interesse archeologico, nonché recuperare campionature utili ad un primo inquadramento cronologico, geoarcheologico e paleoambientale.
Gli scavi 205 hanno portato al recupero di altri materiali riferibili a queste fasi di occupazione, contenuti però in un deposito rimaneggiato dalle attività di animali fossatori e dalla costruzione della masiera. Di particolare interesse la segnalazione di ossidiana, la cui provenienza è in corso di determinazione. E’ questa una delle cavità che risulta nel Carso aver restituito il maggior numero di attestazioni di ossidiana (ad oggi sono 3 le segnalazioni da qui note).
La presenza di un potente strato di crollo della volta con massi di grandi dimensioni, nonostante l’impegno dei gruppi spelologici, non ha consentito l’esplorazione dei depositi interni. Le ricerche sono pertanto proseguite nel centro della dolina con l’apertura del Sondaggio 1 che ha restituito evidenze di frequentazioni antropiche, tra cui una cuspide di freccia in selce, frammenti ceramici e resti faunistici ed è stata registrata la presenza di blocchi allineati che potrebbero indicare l’esistenza di una struttura.
Sui campioni prelevati sono in corso datazioni al carbonio 14.
Nella Grotta Jama Blok di Gabrovizza, ora accatastata dalla Commissione Grotte Eugenio Boegan con il numero PRCS 28909, le indagini hanno invece interessato sia l’interno della cavità, ove risulta di particolare interesse il riconoscimento di peculiari depositi che indicano un suo utilizzo durante la preistoria per la stabulazione di caprovini, sia il fronte esterno, ove è stato aperto un sondaggio (Sondaggio 3) della profondità di oltre 3 metri, che non ha però ancora raggiunto i più antichi livelli di frequentazione antropica.
La stratigrafia messa in luce si presenta di particolare interesse: numerosi i livelli che documentano le fasi di frequentazione dell’area esterna della grotta per attività di caccia (cuspidi di freccia e faune selvatiche), fenomeni di crollo parziale della grotta per eventi sismici o fenomeni di degrado climatico, seguiti da nuovi episodi di frequentazione per usi sepolcrali e di stabulazione degli animali.
In attesa di poter studiare i materiali culturali rinvenuti, sono stati raccolti campioni per analisi polliniche, geoarcheologiche e datazioni al Carbonio 14, di cui a breve si conosceranno gli esiti.
Si potrà così disporre di una stratigrafia documentata accuratamente sotto ogni aspetto e ricostruire le diverse fasi della preistoria regionale, spesso ad oggi note solo genericamente.
A conclusione degli scavi, in entrambe le grotte è stata organizzata una visita aperta al pubblico per presentare i primi risultati delle ricerche alla quale hanno partecipato gli amministratori di Sgonico e decine di membri dei gruppi speleologici locali.
25 OTTOBRE OPEN DAY: VISITE GUIDATE E ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE
Durante l’appuntamento alla Sala Luttazzi verrà anche presentato il programma dell’Open Day organizzato per il prossimo sabato 25 ottobre.
Per condividere con la cittadinanza e far conoscere l’importanza dei rinvenimenti, sono state organizzate due visite guidate gratuite agli scavi. Sabato 25 ottobre 2025 gli archeologi responsabili dei lavori e gli speleologi del Club Alpinistico Triestino condurranno i visitatori all’esplorazione del sito della Grotta Tina Jama.
Orario e luogo di ritrovo: 10.00 e 14.00 parcheggio alla base del sentiero numero 5A per il Lanaro, collocato circa 300 m a nord dell’agriturismo Milič Zagrski ( https://www.miliczagrski.com/ ).
La risalita alla grotta richiede circa mezz’ora di cammino per persone allenate. Si consigliano abbigliamento e calzature adeguate.
Prenotazione obbligatoria: È previsto un numero massimo di 30 persone per visita guidata. Per prenotare scrivere a: [email protected]
Nella stessa giornata del 25 ottobre presso l’agriturismo Milič Zagrski presso Sagrado/Zagradec si svolgeranno attività di archeologia sperimentale, come la scheggiatura della selce, l’accensione del fuoco, la lavorazione delle conchiglie e dell’osso per la produzione di monili e strumenti di uso quotidiano. Inoltre, si potrà partecipare a una prova pratica di tiro con arco e propulsore preistorico con il TES (Tecnico Educatore Sportivo) della UISP, Roberto Cappellina e immergersi nei suoni della preistoria grazie a una capanna sonora realizzata prendendo spunto dal lavoro di ricerca svolto dall’archeologo Simone Pedron dell’Associazione Trame di Storia che cura il Museo Vittorino Cazzetta di Selva di Cadore e il Museo dell’Uomo di Val Rosna.
Età consigliata: dai 6 anni in su. Il laboratorio, a cura di Alessandra Maria Rodriguez, vedrà protagonisti esperti di archeologia sperimentale Marco del Piccolo, Giuliano Bastiani e Marco Rodriguez.

