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AL TEATRO ROSSETTI DI TRIESTE IN SCENA THÉRÈSE TRATTO DAL DRAMMA DI ÈMILE ZOLA: STEFANO RICCI PRENDE SPUNTO DA UN DRAMMA MERAVIGLIOSO OFFRENDO UNA SUA INTERPRETAZIONE MODERNA CHE SI PUÒ AMARE O NON CAPIRE

Inserito da Paolo Bencich | Apr 5, 2025 | Spettacoli ed Eventi | 0 |

AL TEATRO ROSSETTI DI TRIESTE IN SCENA THÉRÈSE TRATTO DAL DRAMMA DI ÈMILE ZOLA: STEFANO RICCI PRENDE SPUNTO DA UN DRAMMA MERAVIGLIOSO OFFRENDO UNA SUA INTERPRETAZIONE MODERNA CHE SI PUÒ AMARE O NON CAPIRE

foto tratte dal sito del Teatro Rossetti: https://www.ilrossetti.it/it/

In “Thérèse Raquin”, i protagonisti Thérèse e Laurent sono mossi da istinti primordiali, come la passione, il desiderio e il senso di colpa che li spingono verso azioni violente, non solo verso gli altri ma anche su se stessi suicidandosi, per il motivo che l’autore persegue sul “Determinismo Sociale”, dove la società influenza tutti noi. Ma Ricci scardina l’intera opera, traendone solo l’incipit e la capacità di offrire molti aspetti del nostro presente che l’opera di Zola ha nella sua trama ma eludendone in parte una comprensione chiara, se non quella della paura della colpa e l’elaborazione del lutto, rivisitata ai nostri tempi per raccontare il luogo che abitiamo ancora oggi: la terra a cui ci ridiamo, a partire dal senso di colpa, condizionamenti e comportamenti a cui i personaggi danno libera espressione; l’ affezione, un’attitudine corporale e febbrile, la comprensione della perdita, la mancanza di una presenza morale che si rivede a tratti solo nei gesti e nelle parole dei protagonisti nel finale.

Raccontiamo chi era Thérèse Raquin” per Zola, interpretato da una meravigliosa Donatella Finocchiaro, una donna vittima di un ambiente opprimente fin dall’infanzia passato con una zia matrigna; è costretta a sposare il debole e malato Camille: il proprio destino lo sceglierà nel modo più errato ma suo, con l’amante, per la prima volta: la sua rivolta si dimostra proprio nella relazione con Laurent ed è una conseguenza della sua condizione soffocante con il successivo omicidio del marito. Tuttavia, questa strada imboccata dai due amanti non porterà a una rivalsa, a una libertà mai avuta ma a una auto condanna definitiva che invece di portare lei all’emancipazione, questa sua scelta la condanna alla disperazione e alla morte. Ma c’è di più, molto di più nella penna di Zola che Ricci ripropone come un “esperimento scientifico” (e noi diremmo anche scenico ed interpretativo), la sua rilettura è una deflagrazione dell’opera di Zola, di cui solo in parte è consona: lo scrittore aveva in mente un romanzo come un laboratorio sul sociale, dove i personaggi si comportano come cavie in un esperimento sotto i suoi righi: l’omicidio li esaurisce portandoli a un finale tragico. Zola voleva dimostrare da buon naturalista, l’ineluttabilità delle leggi naturali e psicologiche: egli esplora come la macchia, la costrizione e la paura possano disgregare la psiche umana, portandola ad una autodistruzione inevitabile.

In questa “ Thérèse”, Ricci pone l’accento anche su un altro piano, vicino al nostro pensiero d’oggi; la critica che Zola, già ai suoi tempi proponeva: la falsa moralità e ipocrisia della borghesia francese del XIX secolo, distante nella forma dalla nostra attuale, che Ricci ci vorrebbe rappresentare in questo spettacolo. Madame Raquin rappresenta questi atteggiamenti di false moralità, essendo sorda di fronte all’infelicità di Thérèse e Zola “vendica” la grettezza e disumanità della società del tempo, dandole una vendetta ironica e feroce: la zia è inabile di riferire l’ assassinio dei due amanti, quando rimane paralizzata, ma questo aspetto non viene sottolineato nello spettacolo di oggi.

Questa frase “Quando non si è i piú forti, bisogna bene essere i piú giudiziosi.” racchiude in modo perfetto il pensiero di Zola e il nocciolo centrale del dramma dell’autore francese: la trasformazione dell’amore in disgusto, il peso del assassinio e la sorte inesorabile che travolge i due protagonisti dopo l’omicidio del marito di Thérèse. La loro passione malata che li aveva uniti si trasforma in incubo soffocante e il loro rapporto sentimentale muta in una condanna. Stefano Ricci e la sua regia riesce a trasmutare nel nostro attuale vissuto, sconvolgendo l’opera di Zola, toccando solamente e marginalmente il suo pensiero “ “Se la formulassi, la mia definizione di un’opera d’arte sarebbe: Un’opera d’arte è un angolo della creazione visto attraverso un temperamento.” idea non facile da realizzare, e Ricci l’ha costruita su un doppio piano: Donatella (Finocchiaro) e “Therese”, come su una doppia inquadratura: spettatore, cinepresa, che si intriga nel far “vedere” anche le sensazioni degli attori che nello spettacolo rappresentano sia se stessi, in un film per loro universale, che mantenendo come linea guida il romanzo di Zola: compito non facile, per renderlo ancora così attuale, grazie anche a una coreografia e scenografia di una abile Eleonora De Leo e dei movimenti di Stellario Di Blasi che si avvalgono anche di un grande schermo sul fondo del palco e un piano inclinato, chiedendo allo spettatore una concentrazione più intensa che in altri spettacoli, dovendo appunto seguire sia lo spettacolo su questo piano inclinato che le riprese in diretta del “film” che gli attori stanno girando, dove dal suo sottofondo nascono i pensieri più profondi e legati all’opera di Zola per buona parte dello spettacolo.

Riportiamo una delle frasi più essenziali di Thérèse Raquin, che racchiude il senso del romanzo: “I loro corpi, un tempo divorati dalla passione, erano ormai come due cadaveri legati insieme.” E questa frase riassume il suo pensiero: considerava gli esseri umani come il prodotto delle loro limitazioni in cui erano nati e vissuti, la loro stessa “ biologia” essendo Zola un naturalista sviscerato e Ricci ha evidenziato in parte, anche questo aspetto, riportando aforismi personali e veri e propri costrutti scenici per una interpretazione migliore, quale un fantoccio che viene ricucito dagli attori: la nostra vita e la stessa nostra società piena di ferite e lacerazioni.

Come ricordato precedentemente, la Finocchiaro è stata una sublime “Thérèse” ma anche sè stessa, sia per bravura che agilità, gli spettatori hanno capito perfettamente cosa intendiamo dire. Alberto Carbone, Alessandra Fazzino e Giulia Eugeni, tra gli altri sono stati un ottimo contraltare alla protagonista in bravura e presenza scenica.

In replica alla “Sala delle Assicurazioni Generali” al “Rossetti” sabato 5 Aprile alle ore 19:30, Domenica 6 Aprile alle ore 16:00 e lunedì 7 Aprile alle 20:30

THÉRÈSE

Ispirato a “Thérèse Raquin” di Émile Zola

Testo e Regia Stefano Ricci

CON:

Donatella Finocchiaro,

Alberto Carbone,

Giulia Eugeni,

Alessandra Fazzino

Operatore di camera Giulio Magazzù

Movimenti Stellario Di Blasi

Musiche Andrea Cera

Scene Eleonora De Leo

Costumi Gianluca Sbicca

Light designer Gianni Staropoli

Assistente alla regia Liliana Laera

Suggeritrice Michela Culmone

Direttore di scena Sergio Beghi

Coordinatore dei servizi tecnici Giuseppe Baiamonte

Produzione Teatro Biondo Palermo

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